Dispositivi Protezione Individuali: Responsabilità aziendali

La ripartizione degli oneri di sicurezza e salute gravante sulle figure di linea in materia di dispositivi di protezione individuale, oneri sostenuti da sanzioni penali, si basa sulle funzioni, sugli obblighi attribuiti e sui ruoli ricoperti dai vari soggetti (datore di lavoro, dirigente, preposto, lavoratore) facenti parte dell’“organigramma della sicurezza” all’interno della struttura gerarchica presente in azienda. Il datore di lavoro è il soggetto su cui grava l’obbligo primario e indelegabile di valutare i rischi e conseguentemente individuare le misure di prevenzione e protezione, nonché le procedure per l’attuazione delle misure da realizzare e dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri (lett. d) art. 28, completata dall’“analisi delle competenze” di cui alla successiva e non meno rilevante lett. f).Il datore di lavoro o il dirigente (es. il direttore tecnico o comunque un direttore nel cui incarico aziendale rientri tale obbligo) ai sensi dell’art. 18 c. 1 lett. d) deve fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e ora, con il D.Lgs. 81/08, il medico competente), pena la sanzione alternativa dell’arresto da 2 a 4 mesi o della ammenda da € 1.500 a € 6.000 (secondo il meccanismo previsto dal D.Lgs. 758/94).

A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 106/09 (decreto correttivo del testo unico) è ora sanzionato penalmente anche il disposto contenuto nella lett. f) dell’art. 18 (“richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione”), con l’arresto da 2 a 4 mesi o  l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro. Anche prima dell’entrata in vigore di tale novella legislativa, comunque, va detto che la violazione di tale disposizione avrebbe determinato comunque, in caso di infortunio o malattia professionale, una colpa specifica a carico del datore di lavoro o del dirigente nel caso l’evento lesivo fosse stato  correlato a tale inosservanza. Sul piano contravvenzionale, si tenga inoltre presente che la violazione della lettera f) poteva ben essere ricondotta anche alla violazione del su citato articolo 28 comma 2 lett. d) allorché correlata all’omessa individuazione da parte del (solo) datore di lavoro (e non del dirigente in questo caso) delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare e dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere. Per quanto riguarda la indiscussa titolarità primaria dell’obbligo di controllo a carico del datore di lavoro (e non si dimentichi in tale contesto anche la rilevanza dell’art. 2087 del codice civile quale norma di chiusura del sistema prevenzionistico), la Suprema Corte ha a più riprese ribadito che il controllo sull’operato dei lavoratori spetta al preposto come “compito non esclusivo ma sussidiario, spettando anzitutto al datore di lavoro e ai dirigenti” salvo il datore di lavoro  “abbia conferito apposita delega a persona tecnicamente all’altezza” ] laddove consentito. Si tenga poi presente che “il titolare dell’impresa risponde, per culpa in eligendo, del comportamento del preposto inesperto alla direzione dei lavori che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua manifesta incompetenza e l’altrettanto palese inadeguatezza del suo metodo di lavoro”.