Corsi sicurezza durante congedo maternità

Maternità e lavoro in Italia: quali sono i diritti?

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In Italia si diventa madri di media piuttosto tardi e molte donne sono costrette ad abbandonare la propria carriera professionale quando si ritrovano a dover fare una scelta tra lavoro e impegni familiari (in particolare per chi ha più di un figlio non riesce a conciliare gli impegni domestici con la propria mansione). Non si dovrebbe essere obbligati a scegliere tra un lavoro (che a volte è anche provvisorio) e un figlio: sono due necessità che seppur diverse sono fondamentali per la realizzazione della donna.
Nel nostro Paese c’è ancora molta strada da percorrere per far sì che le donne, ma anche gli uomini, possano tranquillamente intraprendere il progetto di una famiglia senza dover rinunciare a nulla e con massima tutela e rispetto. Molte neomamme preferiscono dunque stare a casa perché hanno grandi difficoltà a prendersi cura della propria famiglia e contemporaneamente esercitare la propria mansione. Se una lavoratrice dipendente scopre di essere incinta deve essere al corrente di tutte le agevolazioni che può avere in merito al proprio stato gravidico e del periodo di astensione dal lavoro. La principale tutela della donna lavoratrice in gravidanza è costituita dalla possibilità di assentarsi dal lavoro per un periodo di tempo mantenendo in ogni caso il diritto alla retribuzione economica. Le tutele devono essere intraprese in caso di lavori pericolosi e faticosi, ma anche per quelli notturni. L’inosservanza di tali tutele da parte del datore di lavoro potrebbe comportare l’arresto fino a 6 mesi. Non sempre dunque le attività eseguite dalla lavoratrice sono conciliabili con lo stato gravidico, perché potrebbero esserci rischi per la salute della lavoratrice e del feto. La prima forma di tutela delle lavoratrici incinte vede l’allontanamento obbligatorio dal lavoro per un periodo di tempo fissato dalla legge (congedo di maternità); la donna ha diritto a stare a casa 5 mesi (2 mesi precedenti la data presunta del parto e 3 mesi dopo ver partorito). Se il parto accade dopo la data presunta, tale congedo include anche i giorni compresi tra la data presunta del parto e quella effettiva. Si deve inoltre tener presente che se le condizioni della specifica realtà in cui si opera sono tali da poter pregiudicare la salute della lavoratrice (ad esempio potrebbe esserci un’esposizione a sostanze tossiche, sforzi fisici eccessivi, lavoro notturno, ecc.), il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro può essere posticipato fino a 7 mesi dopo il parto. Si potrebbe presentare inoltre una gravidanza a rischio e, in tal caso, è bene usufruire del congedo di maternità in anticipo, prima del periodo previsto generalmente dalla legge. Sono previsti inoltre dei permessi per allattare e in caso di handicap gravi del proprio bimbo. Un’altra importante forma di tutela riguarda il divieto di licenziare la lavoratrice madre per l’intero periodo che comprende parte dalla gravidanza fino al compimento di un anno di età del bimbo. In realtà, non si tratta di un divieto assoluto, dato che è ammesso licenziare la lavoratrice in alcuni casi particolari, come ad esempio per la cessazione dell’attività aziendale. La normativa stabilisce, inoltre, che nello stesso periodo in cui non è possibile il licenziamento, in caso di dimissioni, la lavoratrice ha diritto alle prestazioni ed al compenso che le spetterebbero in caso di licenziamento.

Il congedo di maternità: che cos’è?

Il congedo di maternità comprende cinque mesi (due mesi precedenti la data presunta del parto e tre dopo) durante i quali la donna lavoratrice obbligatoriamente per legge non deve andare al lavoro. Su richiesta della lavoratrice si può modificare il congedo di maternità, non andando al lavoro un mese prima e quattro mesi dopo il parto, basta sentire il parere del ginecologo e del Medico Competente aziendale.
Ciò può accadere solo se le condizioni di salute della lavoratrice lo consentono. La gravidanza è un tema piuttosto delicato se correlato alla realtà lavorativa; scomodo da affrontare sia per i datori di lavoro che per le donne in dolce attesa, in genere preoccupate dal riferire all’azienda la notizia. Un posto di lavoro in cui c’è un buon clima, agevola lo svolgersi di tale periodo senza troppe avversità.
Per poter intraprendere un progetto così importante, quello di una famiglia, senza rinunciare al posto di lavoro e sentirsi totalmente tutelate, le donne lavoratrici devono essere informate su tutto ciò che la legislazione stabilisce per conciliare la maternità e il lavoro. Ricordiamo che esistono degli obblighi cui sia il datore di lavoro che le donne incinte devono sottostare, fissati dal Testo Unico sulla Maternità (D.lgs.151/2001) e dal Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul lavoro (D.lgs.81/2008). La legge tutela dunque le donne incinte da possibili ingiustizie e atteggiamenti ostili nei loro confronti.
Questo articolo ha l’obbiettivo di comprendere i diritti e le tutele in merito.

D.lgs.151/01: Testo Unico sulla maternità e la paternità

Il D.lgs.151/01 è l’insieme delle disposizioni legislative che tutelano la maternità e la paternità. Durante il congedo di maternità la donna lavoratrice non può partecipare ad alcun tipo di formazione derivante dall’adempimento del Testo Unico sulla salute e sicurezza lavorativa (D.lgs.81/08).
Per le lavoratrici in gravidanza:

  • È vietato il licenziamento fino al primo anno di età del bimbo;
  • Sono vietati lavori che comportano uno sforzo fisico, che richiedono di stare in piedi diverse ore durante la giornata, pericolosi e notturni (lavori su scale, impalcature, macchine a pedali, treni, pullman, a contatto con sostanze chimiche, mansioni che vedono l’esposizione a radiazioni ionizzanti, ecc.);
  • Se la lavoratrice svolge una mansione con attività a rischio per la gravidanza, il Datore di Lavoro deve cambiarle mansione;
  • Devono essere concessi permessi per visite mediche;
  • È importante tener presente che durante il primo anno del figlio la madre ha diritto al permesso orario giornaliero per allattare;
  • Si ha diritto, inoltre, a rinunciare al lavoro durante i giorni di malattia del bimbo.

Si fa presente che i genitori (alternativamente) possono non andare al lavoro durante i giorni di malattia del figlio fino ai suoi 3 anni; ma dai 3 agli 8 anni di età del bimbo l’astensione non può superare i 5 giorni l’anno. Il congedo per la malattia del figlio non viene retribuito. Viene dunque stabilito il divieto del lavoro notturno fino al compimento di un anno di età del bambino, che riguarda la fascia oraria compresa tra le 24 e le 6 del mattino.

Maternità e valutazione dei rischi aziendali

Il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi aziendali, è obbligato a valutare tutte le possibili attività che potrebbero comportare un danno alle lavoratrici in gravidanza; in particolare, devono essere presi in considerazione i rischi da esposizione ad agenti fisici, chimici e biologici. Nel redazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) è supportato dal Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), dal Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e dal Medico Competente aziendale. Dovranno essere individuate tutte quelle attività vietate durante il periodo di maternità e, in alcuni casi, anche nel periodo dell’allattamento. La lavoratrice potrebbe quindi ritrovarsi a dover cambiare mansione o essere idonea ad effettuarla con delle prescrizioni. Il cambio di lavoro deve rispettare tutti i requisiti fissati dalla legge. In particolare, per chi è in stato di gravidanza, puerperio o allattamento non sono ammesse attività pericolose, insalubri e che comportano uno sforzo fisico.
La lavoratrice adibita a una mansione inferiore a quella precedentemente svolta ha diritto alla stessa identica retribuzione. Qualora non sia possibile un allontanamento temporaneo dalla mansione a rischio, è inevitabile la richiesta del congedo di maternità anticipato, a tutela della salute e sicurezza della donna incinta. Le lavoratrici devono riferire al datore di lavoro tempestivamente la propria condizione, in modo tale da agevolare l’azienda nella messa in atto di tutte le misure di prevenzione in merito. La comunicazione è importante, soprattutto nei primi tre mesi di gravidanza, in cui devono essere vietati sforzi e operazioni a rischio per la lavoratrice.

Quali sono i corsi per la sicurezza sul lavoro obbligatori?

Il Decreto Legislativo 81 del 2008 obbliga tutti i lavoratori di ogni tipologia di azienda a frequentare corsi in merito alla salute e alla sicurezza sul lavoro. Tali corsi possono essere seguiti in modalità online, videoconferenza (in diretta con il docente) oppure in aula, in base alla tipologia. Non possono essere frequentati dunque dalle lavoratrici che si trovano nel periodo di astensione dal lavoro per maternità. Nello specifico, le aziende devono iscrivere i propri lavoratori ai seguenti corsi:

  • Formazione generale
  • Formazione specifica
  • Primo soccorso
  • Gestione delle emergenze e antincendio
  • Formazione per i preposti e per i dirigenti

Deve inoltre essere effettuato il corso RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione Protezione) per il datore di lavoro e il corso RLS (Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza). Sono previsti però anche corsi specifici, oltre a questi base, come ad esempio il corso HACCP per addetti alla manipolazione di alimenti e bevande, i corsi per lavori in quota, quelli per addetti alla rimozione, bonifica e smaltimento dell’amianto, la formazione obbligatoria per i lavoratori con contratto d’apprendistato, i corsi per gruisti e quelli per la segnaletica stradale di sicurezza. La periodicità dell’aggiornamento dipende dalla tipologia del corso.