All’interno del corpo umano vi sono circa 6 litri di sangue; il volume del sangue si misura in 70-100 ml per ogni kg di peso corporeo. In caso di emorragia si ha una perdita di sangue (potrebbe dipendere da ferite, malattie, traumi, ecc.), che si versa all’esterno dell’organismo o al suo interno. Qualunque sia l’origine dell’emorragia, l’effetto è il solito: la vittima si trova in stato di shock per perdita di massa sanguigna. Se consideriamo il caso della frattura che riguarda la milza, ad esempio, in questa situazione il sangue fuoriesce dall’organo e rimane nella cavità addominale, per cui resta “nascosto”. Rientrano nelle emorragie lievi quelle perdite di sangue che non mettono a rischio la vita del paziente in quanto il flusso sanguigno è ridotto e si arresta in breve tempo. Nella ferita i vasi sanguigni coinvolti si restringono, le piastrine si agglutinano formando localmente un reticolo molto fitto (una specie di tappo) in cui si impigliano i globuli rossi; ed in questo punto il sangue coagula bloccando l’emorragia. Tutto questo avviene nei soggetti sani; l’emorragia invece non si arresta in presenza di alcune patologie del sangue tra cui l’emofilia.
Come sono classificate le emorragie?
Un’emorragia è, per definizione, una lesione con fuoriuscita massiva di sangue dai vasi sanguigni. La rottura di un vaso sanguigno determina la fuoriuscita di sangue all’interno o all’esterno del corpo.
A seconda della parte interessata, un’emorragia può essere:
- Arteriosa: il sangue, di colore rosso vivo, fuoriesce tramite un getto più o meno intenso e sincrono con le pulsazioni cardiache; spesso la cute circostante rimane pulita. Se la rottura interessa un vaso arterioso di grosso calibro, come può essere l’arteria femorale nel tratto inguinale, la distanza coperta dal getto può arrivare a qualche metro.
- Venosa: è caratterizzata dal sangue rosso scuro, in quanto ricco di anidride carbonica, nonché da un gettito costante e uniforme. La fuoriuscita in modo continuo dai margini della ferita, come acqua da un bicchiere troppo pieno; i bordi e la cute circostante appaiono sporchi di sangue.
- Mista: la lesione interessa sia i vasi venosi che quelli arteriosi; il sangue esce senza getti ma in quantità e con rapidità superiore rispetto alle emorragie venose.
- Capillare: il sangue, di colore rosso vivo, esce con flusso lento ma continuo.
Nello specifico, in questo articolo ci soffermeremo sulle emorragie esterne, che assumono la denominazione di “arteriose”, laddove il sangue esce in maniera abbondante e intensamente di colore rosso per via dell’alto contenuto d’ossigeno, scorrendo ad intermittenza e contemporaneamente al ritmo delle contrazioni del cuore.
Emorragie interne ed esterne: come riconoscerle?
In base alla loro sede, vi sono diverse tipologie di emorragie:
- Esterne: il sangue esce dal corpo a causa di un incidente che ha leso la cute e le strutture sottostanti.
- Interne: il sangue fuoriuscito dai vasi non arriva all’esterno ma rimane all’interno del corpo, andando verso cavità naturali (emorragie endocavitarie) o nello spessore dei tessuti circostanti la lesione (emorragie interstiziali). È questo il caso delle piccole perdite ematiche sottocutanee di origine traumatica, ma anche delle gravi emorragie che si hanno quando si rompono vasi sanguigni nel torace, nell’addome o nel cranio.
- Interne esteriorizzate: il sangue, uscito dai vasi, si riversa all’esterno mediante aperture naturali (naso, bocca, ano, vagina, condotto uditivo, orifizio uretrale).
Al contrario delle esterne, che consentono di valutare la quantità di sangue perduto e la componente anatomica coinvolta, le emorragie interne non sempre sono riconoscibili; per questa ragione la diagnosi si basa soprattutto sui sintomi dovuti allo stato di anemia acuta. Bisogna pensare ad una possibile presenza di una emorragia interna tutte le volte che si notano:
- ferite profonde nel cranio, nel tronco o nell’addome;
- sangue o liquidi contenenti sangue nelle orecchie o nel naso;
- vomito o tosse con presenza di sangue;
- ematomi sul torace, pancia, collo e arti;
- sangue nelle urine, dalla vagina o dal retto;
- frattura delle ossa del bacino;
- pallore, sudorazione, aumento del battito cardiaco.
Esistono anche le emorragie massive; si tratta di perdite ematiche che potrebbero provocare la morte della vittima; si generano quando si rompono grandi vasi sanguigni o organi molto vascolarizzati. Potrebbero presentarsi esternamente emorragie massive che vanno a toccare organi o apparati dell’organismo che comunicano con l’esterno (stomaco, intestini, polmoni, vescica urinaria, ecc.).
Cosa fare in caso di emorragie esterne?
Le emorragie esterne si verificano a seguito di lesioni di una vena o di un’arteria. Se si ha una lesione delle vene, il sangue fluisce all’esterno con continuità, mentre nel caso delle arterie esso sgorga ad intermittenza.
Ecco alcune indicazioni da seguire:
- Sistemare l’infortunato orizzontalmente e, a meno che non si è certi di qualche frattura, sollevare la zona che sanguina.
- Se la ferita è estesa, avvicinare fra loro i margini della stessa: bisogna unirli e premere bene con la punta delle dita per circa 10 minuti.
- Comprimere delicatamente la ferita con un tampone, una garza o un fazzoletto ripiegato, e poi fissare tutto ciò con una benda ben aderente.
Il bendaggio ottenuto deve essere ben saldo, senza però impedire il flusso arterioso. Per assicurarsi di questo, domandare al paziente se avverte eventuali formicolii o intorpidimenti; oppure basta comprimere un’unghia dell’arto lesionato della vittima fino a farla diventare pallida. Se questa ritorna del suo colore originario dopo aver tolto la pressione, vuol dire che il flusso arterioso è nella normalità; se così non fosse, bisogna allentare la benda. Se la ferita continua a sanguinare anche dopo aver messo la benda, si deve ricorrere alla compressione dell’arteria. Si tratta di una questione delicata, poiché viene bloccato il flusso sanguigno a valle della ferita; tale compressione non si può effettuare per oltre 15 minuti di seguito. L’arteria deve essere compressa contro l’osso, con la punta delle dita o con il palmo della mano chiuso a pugno, in punti precisi, situati tra la ferita e il cuore, differenti a seconda dell’area affetta dall’emorragia. La compressione arteriosa è in genere il miglio metodo per monitorare l’emorragia ed evitare di ricorrere all’applicazione del laccio emostatico, che deve essere impiegato solo nell’assistenza contemporanea di più ferite, oppure in casi estremi. A fini preventivi, in ambito lavorativo, devono essere formati uno o più addetti al primo soccorso aziendale. I corsi di formazione hanno lo scopo di fornire nozioni utili ai partecipanti, per poter intervenire al meglio in caso di emergenza.
Come intervenire in caso di emorragia?
In caso di emorragia arteriosa, un requisito fondamentale è l’urgenza, data la rapida e elevata mole di sangue che fuoriesce dall’arteria. Dopo aver fatto sedere o sdraiare il paziente ed aver indossato i guanti, la parte lesa deve essere tamponata con qualunque tessuto, purché pulito. Il laccio emostatico va utilizzato solo in situazioni drammatiche (amputazione di arti, fratture esposte). Al fine di evitare lesioni ischemiche (assenza di apporto sanguigno) il laccio deve essere allentato dopo una ventina di minuti. Il paziente deve essere al più presto inviato al Pronto Soccorso. Nel caso di emorragia venosa, dopo aver indossato i guanti, sarà sufficiente esercitare una pressione sulla ferita mediante un tampone e alzare l’arto leso, alleviando così il flusso emorragico. L’infortunato dovrà essere accompagnato poi al Pronto Soccorso per le cure del caso. Una volta arrestata l’emorragia le ferite debbono essere lavate e disinfettate.
Altre raccomandazioni utili sono le seguenti:
- Se la ferita è pulita, deve essere lavata un lavaggio con abbondante soluzione fisiologica;
- Se la ferita presenta residui di sporco, come terreno o materiale di strada è opportuno lavarla con acqua ossigenata; quest’ultima, infatti, grazie alla sua azione meccanica, agirà creando una schiuma di cole bianco che dovrà essere rimossa tramite soluzione fisiologica;
- La pulizia delle ferite deve sempre essere effettuata servendosi di garze; si fa presente che il cotone non è consigliato, perché potrebbe aumentare la probabilità di incorrere in malattie emboliche a causa dei residui di questo materiale.
È necessario che il soccorritore si predisponga all’uso di tutti i dispositivi di protezione individuale al fine di evitare di essere contaminato da liquidi biologici.
Stato d’incoscienza: sincope e coma
Un’emorragia potrebbe comportare uno stato di incoscienza, causare coma e decesso (nei casi più gravi). La perdita di coscienza è la scomparsa della cognizione di sé stessi e dell’ambiente esterno. L’infortunato in tale situazione non riesce a rispondere a domande semplici, e nei casi più gravi, non reagisce a stimoli esterni, quali il pizzicamento. Il caso più grave di incoscienza può portare al coma. In caso di incoscienza, il trattamento da adottare consiste nel controllare la presenza di battito e respiro: nel caso essi manchino bisogna provvedere assolutamente in modo tempestivo. Se invece essi sono presenti, mentre è assente la sensibilità (risposta agli stimoli) e qualsiasi danno alla colonna bisogna mettere il paziente in posizione laterale di sicurezza, ossia il ferito va steso per terra, deve poggiare su un fianco, con la gamba superiore piegata per impedire al corpo di effettuare movimenti, con la testa iperestesa e messa dietro il braccio allungato inferiore. Il soccorritore dovrà dunque slacciare eventuali indumenti stretti (cravatta, cintura, camicia) e fare in modo che sia portato con urgenza al Pronto Soccorso più vicino.