Cos’è l’artrosi dell’anca e quali sono le cause
L’artrosi dell’anca, o coxartrosi, è una malattia che riguarda l’articolazione dell’anca. Si tratta di una degenerazione della cartilagine che riveste i capi articolari delle ossa dell’articolazione. Per chi ne soffre è una vera e propria invalidità perché rende difficile la deambulazione. Un dolore all’anca è in genere correlato all’avanzare dell’età: in particolare dopo i cinquant’anni, a recare dolore all’anca sono il più delle volte i disturbi legati all’osteoartrosi dei componenti dell’articolazione. Circa il 30% delle persone ne è affetta, in particolare il genere femminile. Si sviluppa in genere dopo i 50 anni d’età, ma potrebbe colpire anche i giovani. A soffrire di anca, dunque, non sono solo coloro che sono un po’ più avanti con l’età; per chi è giovane il problema può dipendere da difetti congeniti oppure da traumi improvvisi (riguarda spesso chi pratica sport che mette sotto stress l’articolazione). Oltre a queste cause più frequenti e facilmente riconoscibili, la comparsa del dolore può essere dovuta anche a possibili patologie, più o meno serie. Per tali ragioni i dolori all’anca non devono essere trascurati. Si fa presente che l’artrosi all’anca evolve molto lentamente e spesso viene individuata in uno stato ormai troppo avanzato per affrontarla con una cura efficace. Si crea quindi l’usura e l’assottigliamento della cartilagine, la riduzione del liquido sinoviale (che è un liquido lubrificante ed ammortizzante) e la restrizione dello spazio tra le ossa. Ciò comporta rigidità nei movimenti, fino al completo blocco dell’articolazione. L’integrità ed il corretto funzionamento dell’anca sono di fondamentale importanza; basti pensare l’anca deve sorreggere gran parte del peso del nostro corpo. Data la sua importanza, la presenza di indolenzimento in questa parte del corpo ha quasi sempre conseguenti invalidanti, e limita la possibilità di eseguire le attività della vita che quotidianamente facciamo.
Tipologie di artrosi all’anca e fattori di rischio
In base alle origini, possiamo individuare due diversi tipi di artrosi all’anca: artrosi primarie e secondarie. Le primarie non hanno una causa precisa, potrebbero essere scaturite da uno o più dei seguenti fattori:
- età: l’invecchiamento va a consumare le articolazioni;
- sovrappeso: un peso eccessivo mette a rischio le articolazioni;
- ereditarietà.
Diverse sono invece le cause delle artrosi secondarie:
- traumi, fratture o difetti della postura;
- malattie quali il diabete e colesterolemia;
- malformazioni dello scheletro (come ad esempio le ginocchia valghe e i piedi piatti), difetti presenti fin dalla nascita o che si sviluppano durante i primi anni di vita.
Come diagnosticare l’artrosi all’anca
Soffermiamoci ora sui segni che ci possono far capire che siamo affetti da questa malattia. Il soggetto che soffre di coxartrosi manifesta innanzitutto un dolore acuto all’altezza dell’inguine e del gluteo. Spesso il dolore evolve anche lungo la coscia, fino ad arrivare al ginocchio. Ciò comporta una limitazione dei movimenti. Per diagnosticarla non basta la sola osservazione dei sintomi, dal momento che le cause che potrebbero recare il dolore sono le più svariate. Ecco gli strumenti utili per individuarla in caso di sospetto:
- radiografia del bacino e radiografia assiale dell’anca;
- esami medici di controllo del liquido sinoviale;
La tac e la risonanza magnetica non sono necessarie, dato che la radiografia è in grado di fornire tutte le risposte che servono.
Cura e trattamento dell’artrosi all’anca
Le cure “fai-da-te” sono sconsigliate. Al giorno d’oggi non è possibile guarire totalmente, anche se in ambito medico sono stati fatti molti progressi. Qualsiasi cura deve essere effettuata da personale medico qualificato. Le strade sono diverse. Se ci troviamo nella fase iniziale dell’artrosi dobbiamo stare a riposo, è questo il trattamento giusto. Per l’artrosi avanzata non è sufficiente di certo il solo riposo: il soggetto avverte continuamente un dolore che limita le normali attività quotidiane, come ad esempio alzarsi da una sedia o salire e scendere le scale. A volte si ricorre alla cosiddetta “terapia generale”, basata sul riposo, su rimedi fisici e sulle sedute di fisioterapia. Si pensi, ad esempio, ai fanghi e alle cure termali che, combinati all’utilizzo della cyclette, sono utili al movimento dell’articolazione. Possono essere adottare anche le seguenti terapie:
- la marconiterapia, che si basa su onde elettromagnetiche ad alta frequenza che alleviano il dolore attraverso l’emanazione di calore;
- la laser terapia, che genera la vasodilatazione;
- la terapia ad ultrasuoni, che vede l’utilizzo di vibrazioni sonore ad alte frequenze che apportano calore e dunque la riduzione del dolore.
Possono dunque essere utilizzati antinfiammatori, ma solo per ridurre il dolore, non per curare; si tratta dei FANS, farmaci antinfiammatori non cortisonici, da prendere insieme ai farmaci condroprotettori (come l’acido ialuronico) che evitano la logorazione della cartilagine. A volte si ricorre a delle terapie particolari, quali l’agopuntura, che vede l’inserimento di piccoli aghi in punti specifici o rimedi naturali (bere infusi a base di erbe o integratori alimentari). Il trattamento chirurgico attraverso l’inserimento di una protesi dell’anca resta la cura più efficace. Gli interventi correttivi, che vanno ad esempio a sostituire la testa del femore, sono impiegati in caso di artrosi non grave. Si ricorre alla protesi solo se necessario: queste vanno a sostituire le articolazioni del fianco, possono essere in titanio o in ceramica, e vengono scelte in base al peso corporeo, all’età e al sesso del paziente. L’intervento dura circa due ore e vede l’utilizzo di tecniche più o meno invasive. Il soggetto dopo qualche giorno è in grado di camminare grazie alle stampelle, e poi da solo grazie alla fisioterapia (dopo circa tre settimane). Si fa presente che le protesi possono durare tranquillamente fino a 12 anni, poi vanno tenute sotto controllo. Un tempo i pazienti erano costretti a stare fermi in ospedale, in un letto, per circa dieci giorni; adesso, invece, grazie alle moderne tecniche chirurgiche e alle nuove protesi, possono riprendere a camminare in tempi brevi. Il ricovero ospedaliero, dunque, non è lungo e va dai 3 ai 5 giorni. Fino a quando il paziente non cammina bene, vanno effettuate delle iniezioni di anticoagulante (come ad esempio l’eparina), per escludere la formazione dei trombi negli arti inferiori. Facendo molta attenzione agli esercizi di riabilitazione, senza accelerare i tempi, la persona il recupero totale e la ripresa delle normali attività avviene dopo 2 o 3 mesi. Il dolore che si presenta dopo l’operazione è molto temuto dai pazienti, ma è normale avvertirlo, dato che si tratta di un’operazione invasiva. Il tempo richiesto, per il suo esaurimento, dipende da persona a persona; in genere non è molto lungo. Stessa cosa vale per la continua sensazione di stanchezza: anch’essa, infatti, non deve spaventare, in quanto è una conseguenza ovvia, successiva all’intervento. Il periodo dopo l’intervento è delicato ed è opportuno curare ogni piccolo dettaglio per un ottimo recupero; di certo vanno evitati movimenti bruschi. La riabilitazione consente di riprendere, nei tempi previsti, la completa mobilità articolare. Essa ha inizio già dopo l’uscita dall’ospedale e consiste in un programma di esercizi da effettuare in palestra. In questa sede, il soggetto deve curarsi e farsi supportare dai consigli di un fisioterapista, il quale propone gli esercizi da compire e corregge anche errori di esecuzione. La riabilitazione è dunque un momento fondamentale, non solo per il recupero fisico, ma anche dal punto di vista psicologico. La sensazione dolorosa, può sconfortare il paziente, ma il sostegno, offerto dalle persone vicino a lui, può aiutarlo a superare questi problemi. L’intervento di protesi si conclude, quasi sempre, positivamente; tuttavia, in base ad alcuni dati statistici, un caso su 10 subisce delle complicazioni. Se ciò accade, il paziente deve sottoporsi a un intervento chirurgico correttivo. Si potrebbero sviluppare infezioni o trombosi. La tecnologia medica si sta evolvendo, migliorando di continuo le protesi d’anca. La ricerca è attenta al miglioramento dei materiali: più forti, più durevoli, non tossici e capaci di garantire la massima mobilità articolare.
Artrosi: patologia diffusa sul lavoro
Diversi cambiamenti posturali protratti nel tempo possono comportare l’artrosi. Questa patologia si manifesta ad esempio nei lavoratori che devono stare seduti per molte ore al giorno davanti ad una scrivania, con la testa e le spalle rigide; oppure in chi è sottoposto a sforzi fisici per lavoro, come i trasportatori. Dobbiamo includere quindi molte persone che sono sottoposte a lavori usuranti. Ci possono essere attività lavorative che portano dunque la persona a irrigidire i muscoli e, di conseguenza, a spostare le articolazioni in posizioni forzate. Può essere riconosciuta come una malattia professionale nel caso in cui venga associata ad una specifica attività lavorativa. L’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) provvede al risarcimento dei danni dovuti alla mansione svolta. Chi soffre di artrosi può beneficiare inoltre di alcune agevolazioni. Ovviamente, è necessario che il soggetto effettui prima tutte le opportune visite mediche per individuare la gravità della patologia. Chi ha l’artrosi ha diritto senz’altro all’invalidità civile. L’ordinamento italiano considera invalido civile tutti coloro che soffrono di malattie che limitano la normale capacità lavorativa (se in età da lavoro, cioè tra i 18 e i 65 anni), ovvero da renderlo non idoneo ad eseguire le attività tipiche della sua età. Il Medico Competente aziendale deve tener conto di tutte le attività lavorative a rischio che richiedono sempre gli stessi gesti, una postura errata o un sovraccarico fisico.