Cos’è il Documento di Valutazione dei Rischi?
Il Documento di Valutazione dei Rischi, denominato generalmente con l’acronimo DVR, si colloca proprio nel contesto della valutazione dei potenziali rischi professionali. È importante pertanto comprendere quali sono le caratteristiche, gli obblighi e le scadenze fissate dalla normativa vigente in Italia. Prima di affrontare le caratteristiche peculiari di tale documento e prima di parlare degli obblighi delle aziende e dei Datori di Lavoro, è fondamentale capire cos’è il DVR. Il DVR ha la funzione di mettere a punto nello specifico ogni possibile rischio professionale a cui i lavoratori potrebbero essere esposti durante lo svolgimento della propria mansione. La normativa di riferimento è il Decreto legislativo 81 del 2008, all’interno del quale si tratta tale argomento e si chiarisce come deve essere articolato questo importante documento. Tale documento è utile ad identificare i rischi professionali e contiene la stima della probabilità di accadimento di un evento dannoso per la salute e/o la sicurezza dei lavoratori. Oltre ad essere un obbligo del Datore di Lavoro non delegabile, la valutazione deve includere tutti i rischi aziendali e deve essere specifica per l’attività lavorativa in questione. Tutto ciò ha come obiettivo quello di portare possibilmente a 0 il numero degli infortuni annuali nelle aziende, indipendentemente dalla gravità degli stessi.
I contenuti del DVR
Il Documento di Valutazione dei Rischi deve includere necessariamente alcuni aspetti obbligatori, come chiarisce il Testo Unico (D.lgs.81/08). Nel DVR devono essere indicati:
- I dati anagrafici dell’azienda;
- la descrizione specifica dei luoghi di lavoro e di tutte le fasi del processo produttivo;
- la descrizione dettagliata di tutte le mansioni dei dipendenti e delle postazioni che sono loro assegnate;
- i criteri di valutazione che sono stati adottati;
- le misure di prevenzione e protezioni collettive per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori messe in atto sulla base dei rischi presenti;
- Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) che devono essere indossati da parte dei lavoratori;
- il programma di formazione dei dipendenti, che dovranno essere informati in merito ai rischi e alle misure di prevenzione e di protezione fissate;
- il piano di verifica periodica della validità di quanto stabilito, di rivalutazione dei rischi aziendali e di verifica della messa in atto delle strategie citate nel DVR;
- la data in cui è stato redatto il DVR e firme delle persone (Datore di Lavoro, RSPP, RLS e Medico Competente aziendale) che si sono occupate della stesura dello stesso.
Si fa presente che al DVR possono anche essere allegate altre documentazioni, come ad esempio le schede di sicurezza dei prodotti chimici impiegati, le certificazioni degli impianti, le valutazioni da parte dei periti su alcuni specifici ambienti di lavoro. Queste documentazioni aggiuntive variano dunque in base al genere di attività lavorativa ed ai rischi professionali individuati.
Aziende senza dipendenti
Il titolare di un’azienda che esercita la propria attività da solo e per proprio conto non è tenuto ad applicare le disposizioni sulla salute e la sicurezza lavorativa fissate dal Decreto Legislativo 81/08. Per tali tipologie di aziende, quindi, non sono obbligatori:
- la redazione del DVR;
- i corsi sulla sicurezza lavorativa;
- l’istituzione del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP);
- la formazione di una squadra per l’antincendio e per il primo soccorso.
Al contrario, il Datore di Lavoro di un’impresa che opera da solo ma per conto di un committente, per cui realizza un prodotto o eroga un servizio, è obbligato ad attenersi alle disposizioni del Decreto legislativo 81/08, e quindi a redigere il DVR. In caso di mancata redazione, è previsto l’arresto fino a un mese o l’ammenda da 200 a 600 euro.
Come vengono stimati generalmente i rischi?
La normativa italiana in merito alla valutazione dei rischi dà libera scelta alle aziende su come stimare i potenziali rischi in ambiente lavorativo. Uno dei metodi più comune è il sistema matriciale. Il principio fondamentale su cui si basa questo sistema matriciale di valutazione dei rischi è dato dalla seguente relazione: R=PXD. Si ricava dunque l’entità del rischio (R) moltiplicando la probabilità (P) che si verifichi un danno e l’entità del danno (D) derivante da questo stesso evento pericoloso. Tale calcolo consente di classificare il rischio in quattro livelli: trascurabile, basso, medio o elevato, tenendo conto della probabilità che accada un evento pericoloso e del danno ad esso associato. Si tratta del metodo analitico ad oggi più diffuso per quantificare il rischio residuo e stabilire una priorità di intervento nella stesura del piano di intervento (mirato a limitare o eliminare i rischi). La sua applicazione è piuttosto semplice se si seguono le istruzioni. La classificazione del danno (D) dipende dalle eventuali conseguenze che l’evento può recare alla persona.
La matrice di rischio e la non totale affidabilità
Questo strumento matriciale, che considera la seguente relazione R=PxD, anche se ormai molto impiegato e riconosciuto come valido, ha però il limite di basarsi sulle conoscenze e la preparazione di chi deve valutare i rischi; dunque è importante che l’addetto alla valutazione comprenda al meglio la realtà aziendale di riferimento e abbia conoscenze tecniche ed esperienza tale da considerare possibili situazioni pericolose, danni alla salute dei lavoratori, ecc. Vi è infatti la possibilità di non stimare correttamente il rischio. I dati statistici rilevano che il fatto che un evento si verifichi raramente, o che addirittura non sia mai accaduto, non significa che non potrà verificarsi in futuro; inoltre, anche se evento è raro non vuol dire che non lo dovremmo più considerare. Detto ciò, quali sono le aziende che veramente prendono in considerazione, quando vanno a stimare i rischi, che il loro sistema di riferimento sia variabile? E soprattutto, ci dobbiamo chiedere, quali sono i fattori variabili alle quali la realtà lavorativa potrebbe essere soggetta? Le condizioni metereologiche, la composizione dei team di lavoro, i percorsi effettuati dai lavoratori, le turnazioni di lavoro, l’usura delle macchine e delle apparecchiature impiegate, lo stato psico-fisico sono tutte possibili variabili interne all’organizzazione aziendale. Teniamo proprio conto di tutto ciò, durante la valutazione dei rischi? E in che modalità possiamo combinare tali aspetti con la matrice PxD trattata in precedenza? La coerenza con l’attività svolta, in fase di valutazione, dovrebbe essere proprio associata con la presa in carico delle variabili del sistema a cui ci riferiamo; i risultati acquisiti potrebbe essere infatti confusi con quelli di una qualsiasi altra impresa che ha avuto gli stessi esiti.
Soffermiamoci ora su diversi aspetti che rendono poco attuabile il metodo matriciale. Innanzitutto il Decreto legislativo 81/08 obbliga i Datori di Lavoro delle imprese di startup ad effettuare la valutazione dei rischi elaborando il relativo DVR entro novanta giorni dall’inizio della propria attività. Si tratta quindi di aziende “appena nate”: se un’azienda è nuova, ovviamente non si è messa mai in gioco e non ha dati da analizzare! Dunque, anche se vengono considerate le possibili variabili della realtà operativa in via preliminare, non si hanno dati oggettivi da esaminare.
Un altro aspetto da non trascurare, inoltre, è la sensazione del rischio da parte del singolo individuo, ovvero il lavoratore. Siamo in grado di inserire nella matrice di rischio l’impressione che ogni lavoratore ha in merito al livello di sicurezza? Siamo sicuri che ogni dipendente, dal primo all’ultimo, sia consapevole delle diverse circostanze in cui può ritrovarsi, e soprattutto sia adeguatamente formato per poterle gestire al meglio? Ogni lavoratore deve essere in grado di reagire ad un rischio, qualora questo dovesse presentarsi, indipendentemente dal fatto che questo sia più o meno frequente. Ogni individuo deve avere gli strumenti opportuni per acquisire la consapevolezza del rischio e rispondere in modo opportuno al verificarsi dello stesso. Ricordiamo infine, che l’infortunio è dovuto generalmente ad un mix di fattori, non sempre necessariamente dovuti a negligenze o mancanza di prevenzione o protezione; incidono molto la variabilità delle condizioni di lavoro, la distrazione e lo stress umano. Tutto ciò non viene però preso in considerazione nella matrice di rischio. Si fa presente che la maggior parte degli infortuni in ambiente lavorativo accadono a fronte di un errore del lavoratore, a causa della stanchezza, della momentanea mancanza di concentrazione e della fretta, ma non solo: le statistiche rilevano che il consumo di alcol e droghe incide significativamente sul fenomeno degli infortuni. Il problema è che fattori come questi sono purtroppo incalcolabili. Per quanto la singola persona possa essere perfettamente consapevole di ciò che stia facendo e del pericolo cui è esposto, rispettando le procedure di lavoro, e avere una buonissima preparazione in merito alla risposta a situazioni pericolose, può verificarsi un imprevisto tale da far accadere l’evento dannoso. Il valore del rischio (R) pari a 0 è impossibile, se il lavoratore sta esercitando la propria mansione, ed è dunque a contatto con attrezzature, sostanze chimiche, movimenta manualmente carichi, ecc. La sicurezza non è statica (il livello varia anche nel tempo) e non deve limitarsi ad espressioni matematiche. A tal riguardo è importante il controllo periodico nel tempo dei fattori che possono incidere sul livello del rischio “R”, indipendentemente dalla sua frequenza di accadimento. Soltanto in questo modo la valutazione sarà decisamente coerente con la realtà lavorativa in questione.